venerdì 30 agosto 2013

A.A.A. CERCASI BRAMBILLA. UNA MILANESE IN PAOLO SARPI

18.947 è approssimativamente il numero di Cinesi a Milano, 8,7% degli stranieri nel capoluogo. E' letteralmente raddoppiato tra il 2005 e il 2010 ed è in continuo aumento. La comunità cinese possiede l'80% dei negozi con vetrina su strada nel quartiere di Paolo Sarpi, e gestisce qualcosa come 5000 negozi in tutta Milano. Ha anche i primi posti della top 10 dei cognomi meneghini, dove Zhou e Chen si lasciano alle spalle Rossi, Fumagalli , Colombo e il mitico sciur Brambilla.



E allora andiamo in territorio cinese a dare un occhiata da vicino al quartiere. La prima cosa che colpisce è la pulizia dei marciapiedi e delle aiuole. Se ho contato 5 mozziconi di sigaretta è tanto. La seconda cosa che salta all'occhio è il mitico carrellino che tutti , milanesi compresi, si portano appresso.


Ma mente la sciura nata sotto la Madonnina ci carica la borsa della spesa, i cinesi portano dalle due alle tre scatole dall'ignoto contenuto, che diventa identificabile se si intercettano nella via secondaria i camion di provenienza, che sono stipati di quella che presumibilmente è la merce che è esposta nelle vetrine. Viene spontaneo chiedersi quando mai riusciranno a venderla tutta. Tra i negozi più presenti abbiamo quelli di bigiotteria, dove collanine e braccialetti di plastica dai colori chiassosi sono ordinatamente riposti in bustine tipo prove di "C.S.I scena del crimine", ed esposte una accanto all'altra su intere pareti illuminate al neon di negozi di cui nessuno vorrebbe mai fare l'inventario. Al secondo posto i negozi di gadjet per i-phon, i-pad, i-qualunque cosa. Potreste avere una cover per il vostro cellulare da abbinare a qualunque capo del vostro armadio, lo potreste travestire neanche fosse carnevale, farlo brillare diglitter da dovervi mettere gli occhiali da sole (fino a che alla prima botta tutte le scintillanti pietruzze attaccate con lo sputo voleranno via tra i vostri improperi). Divertenti i negozi di parrucche, due in particolare se vi serve una lunga chioma glicine o un caschetto blu cobalto : "Oscar" all'angolo con via Braccio da Montone, e "Omelaya".


Non mancano gli alimentari, dove si possono passare svariati minuti con vegetali di dubbio aspetto tra le mani da girare e rigirare con aria interdetta. Dal durian che sembra un pallone da calcio borchiato e che odora di scarpe vecchie, dalla zucca invernale simile ad una gigantesca pera verdina e quasi cava, al cetriolo cinese lungo un metro e coperto di bubboni.


C'è poi il banco frizer con le teste di anatra e le lingue d'oca, e gli scaffali con la medusa in salamoia. Ma si trova anche una varietà di salse e spezie, e cartuccere di pacchetti di spaghetti di riso, confezioni di noodles da sfamare una famiglia per un lustro e i ravioli al vapore da scongelare. Le versioni cinesi dei prodotti occidentali, dagli Oreo(ci sono tutti i gusti possibili immaginabili) all' Estathe alla Pepsi; i dolci tipici, dai mochi alla moon cake che è così chiamata perché ha come elemento distintivo un tuorlo d'uovo al centro (è buonissimo ma pesantissimo); le gelatine di fagioli rossi da fare a cubetti e mangiare come snack e le verdure disidratate, le nuove patatine.


Mi sono imbattuta nel nuovo Oriental Mall, il primo centro commerciale cinese, che ha a pian terreno il market e un paio di negozietti di vestiti così sintetici che quando li tocchi i capelli si alzano ad effetto palloncino, e probabilmente se li metti e corri veloce prendi fuoco. Al piano superiore c'è una versione cinese di "Tutto escluso il muro", un bazar ben ordinato in cui puoi comprare dalle mutande ai festoni, dai vibratori ai tostapane, dal materiale gommato da mettere sul fondo dei cassetti al diario di Hello Kitty. Non male però verso l'uscita la vetrina di monili di giada. Anche se per andare sul sicuro c'è una bellissima boutique di oggetti e abbigliamento tradizionale, l'"Oriente store".


Qualche milanese ha ancora delle attività sulla via, e sembra calcare terribilmente la cadenza da bauscia quasi a volersi fare spazio tra i cinciuè.
Nei negozi di abbigliamento puoi provare la merce 3 volte su 10, e ottenere uno scontrino è possibile solo se i vigili sono nei dintorni. Ci sono un paio di negozi di griffe italiane e numerose vetrine di scarpe che vanno dal minimal al Priscilla show. Mangiare in Paolo Sarpi significa andare a casa rotolando avendo speso ben 12 euro in certi ristoranti, e la cosa divertente è che nei negozi di alimentari, la provenienza dei cibi che poi consumate anche ai tavoli è spesso da laboratori cinesi sparsi per le vie del centro o sui navigli. Da vedere l'agenzia matrimoniale, imponente con il suo marmo, le sue foto e le vetrine di abiti bianchi in poliestere.


E'stata una gita indubbiamente interessante e tornerò di certo a curiosare meglio. Ma attenzione che nei negozi siete tenuti d'occhio molto da vicino, non dovete fare troppe domande o toccare le merci. Dopotutto siete a casa loro.